Il Compleanno, di Harold Pinter per la regia di Peter Stein

Sono andato a vedere presso il Teatro Goldoni di Venezia, Il Compleanno, dramma di Harold Pinter per la regia di Peter Stein con la bravura d'attrice di Maddalena Crippa ma anche di tutto il gruppo di interpreti.




Sapendo che si tratta di un dramma importante e famoso nella vita di Pinter (nonostante l’abbia scritto a soli 27 anni) ma soprattutto incuriosito dalla vicinanza (anche temporale) con il teatro dell’assurdo, ho affrontato la messa in scena con entusiasmo e devo dire che ne sono stato ripagato pienamente. 

Sono riproposti secondo me, alcuni motivi che si trovano nelle pièce di Eugène Ionesco. Infatti vi ho trovato alcuni richiami evidenti persino strutturali della Cantatrice Calva (quest’ultima è del 1950, il Compleanno del 1958) come ad esempio la ripresa dell’inizio del primo tempo in apertura del terzo atto, proprio come la Cantatrice Calva si chiude riproponendo in modo identico l’apertura). Sono riproposte così nel Compleanno le tematiche dell’incomunicabilità e soprattutto del dissolversi del linguaggio e della logica e, in ultima analisi, del senso della vita e della ragione che lasciano alla fine dello spettacolo lo spettatore un po’ inquieto e senza “fiato” e con un po’ di amaro in bocca. A questo proposito sono da citare almeno altri scrittori che Pinter conosceva molto bene e a cui sembra attingere: Samuel Beckett e Franz Kafka. In merito a quest’ultimo basti pensare che Pinter realizzò nel 1993 una sceneggiatura cinematografica del “Processo” e non per niente nelle note di regia riprodotte sul  foglio di sala si cita la domanda esistenziale per eccellenza: “Chi siamo noi?” e si tenta una risposta di tipo Kafkiano: “non possiamo mai rispondere perché una falsa e oscura memoria si mischia con la nostra voglia di metterci in scena”.  

Le scelte che più mi hanno entusiasmato e che più ho apprezzato sono state da una parte la regia, assolutamente quadrata e precisa, di una resa geometrico-matematica (ben simboleggiata anche dalla scenografia, quadrata, precisa, senza fronzoli) perfetta nei ritmi e nei climax e nelle scene a più voci;  in secondo luogo, mi è piaciuta particolarmente la recitazione, sempre un po’ sopra le righe, un po’ cioè artefatta e forzata che a me, sinceramente (de gustibus), affascina sempre molto perché spinge la comprensione a un livello sonoro e mi presenta il dramma nella sua veste musicale. 

Bravissimi ovviamente gli interpreti che seguono le evidenti indicazioni del regista. Attori che  - è il caso di sottolinearlo perché mala tempora currunt - usano bene tutte le tecniche attoriali,  e in primis l’uso della voce che il pubblico riceve finalmente naturale senza ausilio di microfoni.

È uno spettacolo che sicuramente girerà per i teatri d’Italia e che consiglio vivamente - per quanto possano valere i miei giudizi - di andare a vedere.


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