Un Penitente efficace e un mondo capovolto


Spettacolo che non delude quello portato in scena al Toniolo di Mestre da Luca Barbareschi, strepitoso interprete di Charles, lo psichiatra descritto nel 2016 dal drammaturgo americano David Mamet nella pièce "Il Penitente".
Teatro di parola con attori superbi che tengono - non si sa come! - un ritmo forsennato dall'inizio alla fine, tanto da catturare l'attenzione del pubblico (un po' maleducato durante la prima parte della serata - Barbareschi dopo soli due minuti ha voluto reiniziare da capo per il brusio della sala dovuto ai molti ritardatari. Perché vengono fatti entrare? Boh!).

Così passano i 90 minuti di spettacolo e gli otto quadri con i quali viene delineato il dramma interiore del protagonista e le vicende più o meno meschine di coloro che gli stanno attorno: la moglie (una bravissima Lunetta Savino), alias "signora-mia-dove-andremo-a-finire" che non sopporta il rifiuto della società e quello che "dice la gente", l'avvocato (Massimo Reale) attento agli aspetti formali, l'azzeccagarbugli grigio, superficiale e traditore, anche lui poco disposto a mettersi contro il "senso comune", le tradizioni, l'apparire; e infine l'uomo della legge (Duccio Camerini) tristemente derisorio verso la religione e la morale, senza alcun briciolo di coscienza o di sensibilità verso colui che sente il peso - tutto il peso - dell'umanità che chiama, che ci chiama!

Il dramma impersonato da Charles è veramente denso di molti temi, tutti ugualmente significativi e importanti per la condizione umana: il dilemma tra la "giustizia" e il "politically correct", tra il buono e il legale, tra quello che già Kant indicava come la contrapposizione tra imperativo categorico e la legalità, tra l'autonomia e l'eteronomia. Il conflitto per dirla con Max Weber  tra l’etica dei principi (Gesinnungsethik) - anche detta etica delle intenzioni o delle convinzioni - e l’etica della responsabilità (Verantwortungsethik). Oppure il tema dei rapporti tra ciò che viene presentato dai mezzi di comunicazione di massa, l'apparire, e l'essere, tra la forma, la maschera e il reale. L'atto di accusa verso il "mondo capovolto": la società del sentito dire, del pettegolezzo che si amplifica oggi ancor più di ieri tramite la rete (qui emergono tutte le questioni delle Fake News e dei Social, e di ciò che viene indicato come "competenze di cittadinanza digitale" sempre più mancanti - ahimé - oggi). Ma ci sono anche altre tematiche che possono dar adito a riflessioni profonde e terribili: una, esplicita, che chiude come un epitaffio la scena, è quella che viene ribadita per tutto il corso dello spettacolo: è lecito o no aderire e ubbidire per un medico al giuramento che ha fatto? Qui allora affiorano con forza tutte le tematiche attualissime di tipo bioetico.

Tutto ciò ch'io vedrò e ascolterò nell'esercizio della mia professione, o anche al di fuori della della professione nei miei contatti con gli uomini, e che non dev'essere riferito ad altri, lo tacerò considerando la cosa segreta.

Insomma uno spettacolo forte e denso, multiforme e stratificato, bello.
Un teatro attuale e positivamente civile, senza fronzoli inutili, senza retoriche. Un teatro fatto da attori e registi che sanno padroneggiare alla perfezione il loro mestiere e i loro strumenti.
E il pubblico ha apprezzato alla fine, un po' stordito e sicuramente ipnotizzato dal testo di Mamet, con lunghi applausi e chiamate.
Una bella serata di teatro davvero!

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